COLLIE BIANCHI ALLA CASA BIANCA

COLLIE BIANCHI ALLA CASA BIANCA

IPOTESI GENETICHE E PETTEGOLEZZI STORICI


di  Giulia Faessler

La storia del collie racconta sorprendenti avventure, clamorose vicende ed inconfessabili segreti; é così variegata ed imprevedibile da presentare ad ogni passo incredibili risvolti ed inaspettati sviluppi. E narra le vicende di uomini e donne tanto diversi tra loro da non avere nulla in comune se non l’amore, smisurato, per questa razza alla cui evoluzione ciascuno di loro ha dato un piccolo o grande contributo rimasto nella memoria di chi ancor oggi fa del suo studio un modo per onorarla, amarla e traghettarla verso il futuro.

 

Recentemente molti appassionati del collie mi hanno contattato per chiedermi come mai in passato vi fossero collie integralmente bianchi, cioè con testa e corpo bianchi, ma con occhi e tartufo pigmentati. Questi collie, che hanno vissuto il periodo di maggior diffusione in America nei due decenni a partire dal 1910, erano molto diversi dai bianchi allevati oggi che, come sappiamo, presentano sempre la testa colorata ed una o più macchie sul corpo bianco.

 

Convenzionalmente chiameremo questi collie completamente bianchi “bianchi integrali” e quasi tutte le descrizioni dell’epoca li descrivono come cani dal mantello tutto bianco con appena qualche traccia di colore sulle orecchie.

 

 

Viene spontaneo, a questo punto, chiedersi se questi collie fossero geneticamente identici a quelli di oggi e, nel caso non lo fossero, domandarsi dove sono finiti i bellissimi collie bianchi dalla testa bianca che vediamo in tante foto del secolo scorso.

In realtà Chandler non fu il primo a ritrarre un collie di questo tipo. Quasi un secolo prima, nel 1829, Sir Edwin Henry Landseer, il famoso pittore inglese di animali, aveva dipinto un collie bianco in un famoso quadro, "White Collie in a Landscape".

Anche in questo quadro il collie ha corpo e testa bianchi, con una sola, piccola macchia alla base della coda, mentre il tartufo appare vagamente rosato. Landseer era uno che i cani li conosceva bene e li ha dipinti nella realtà del loro duro lavoro; non sembrano cani da esposizione come quelli raffigurati nei quadri di Arthur Elsley circa mezzo secolo dopo, perciò possiamo ritenere che si fosse ispirato ad un soggetto reale.

Dunque, è evidente che il mantello bianco non era una prerogativa dei collie d’oltreoceano, anzi ne troviamo traccia persino alla Corte di Sua Maestà la Regina Vittoria, che ne fu grande ammiratrice. In un quadro di Charles Burton Barber del 1879 è rappresentato uno dei suoi collie bianchi, Snowball, ed anche lui esibisce una testa bianca.

Un altro collie bianco, anch’esso appartenuto alla Regina Vittoria, si chiamava Nanny, ed aveva il manto bianco con piccolissime macchie sulle orecchie. Ne possiamo vedere l’immagine in un quadro del 1885 dello stesso Barber, in cui è ritratto insieme ad un fox terrier

Nel 1887 Sua Maestà acquistò un altro collie bianco cui dette lo stesso nome del primo, Snowball. Il collie fu ritratto nel 1893 in un quadro di Anthony de Bree. In questo dipinto il cane sembra avere il mantello totalmente bianco e senza macchie, a parte qualche sfumatura di colore sulle orecchie.

Sembra che la Regina avesse trasmesso questa passione anche ai suoi figli. Nel libro "The Queen's Dogs" si racconta infatti che nel 1900 il Principe di Galles (futuro Re Edoardo VII) ricevette in dono un collie di nome "Squire", che aveva un mantello quasi tutto bianco, con un po' di colore sulle orecchie.

Ma i collie bianchi non erano una novità nell’Inghilterra Vittoriana. Solo pochi anni prima il Kennel Club aveva ufficialmente registrato il primo. Era una femmina di nome “THE LILY”, nata il 20 giugno del 1881 da Trevor, un sabbia e bianco, e Hasty, una tricolore, ma evidentemente entrambi portatori del fattore bianco. The Lily aveva il mantello bianco con diffuse macchie color sabbia sul viso. Questa è la descrizione del suo allevatore Charles Wheeler, che non parla di testa sabbia, ma solo di marcature sabbia sul viso. Poiché gli ascendenti di The Lily erano tutti colorati (i suoi quattro nonni erano Trefoil, Maude, Carlyle e Glen, tutti tricolori, tranne la seconda che era sabbia), non v’è alcun dubbio che il suo mantello bianco fosse o una improvvisa mutazione, o la conseguenza del manifestarsi nel fenotipo di un carattere nascosto in quella linea da chissà quanto tempo.

Questa femmina fu la bisnonna del Camp. Metchley Wonder, nato a marzo del 1886, attraverso la cui discendenza il fattore bianco, ma non solo quello, è arrivato fino ad oggi. Questo cane, infatti, è un antenato di tutti i nostri collie attuali e di quelli americani. Dall’osservazione della sua foto possiamo capire quanto folle sarebbe approvare certe modifiche allo standard di cui oggi si parla. Folle come tagliare il ramo su cui si è seduti!

Ma torniamo ancora alla Casa Bianca e facciamo un salto fino al 1963 per incontrare il suo 36° inquilino, Lyndon B. Johnson con il suo collie bianco Blanco, il cui nome ufficiale era Leader Blair Jamie of Eden.

Anche questo collie aveva testa e corpo bianchi. Ancora una volta un collie bianco integrale viveva alla Casa Bianca!

Ma riprendiamo ad esaminare il ritratto di Rob Roy con la sua affascinante padrona Grace.

Alcuni di voi, i più esperti nell’arte pittorica, sarebbero sicuramente capaci di giudicare il quadro valutando la tecnica usata dall’artista ed i colori utilizzati. Proviamo invece, nel nostro quadro, a studiare uno dei collie bianchi integrali più famosi mai ritratti, non per giudicare l’abilità dell’artista, ma nel tentativo di ottenere informazioni su quel mantello completamente bianco, per cercare di capire da quale stupenda combinazione di geni esso sia stato generato. Ragioniamo, cioè, sui geni presenti come fossero i colori sulla tavolozza del pittore. Quali tinte avrà usato per ottenere quel risultato?

Divertiamoci ad azzardare qualche ipotesi allo scopo di capire le differenze genetiche, se ve ne sono, tra il collie bianco lì rappresentato e quelli allevati oggi.

Sulla base delle nostre conoscenze attuali possiamo avanzare alcune ipotesi.

 

 

Tanto per cominciare quel collie potrebbe essere stato un albino.

Esistono varie forme di albinismo, tutte dovute a mutazioni che influenzano un enzima chiamato ‘tirosinasi’, che controlla la biosintesi della melanina, responsabile della colorazione. Solitamente, però, gli animali albini presentano il manto bianco, gli occhi rossi ed il naso e le labbra rosa. Il cane rappresentato nel quadro di Christy, così come le numerose foto che di lui abbiamo, mostra invece una pigmentazione del tutto normale. Non così il collie del quadro di Landseer, che mostra un tartufo vagamente rosastro.

Teoria interessante, ma ipotesi improbabile, perché ci porterebbe a supporre che all’epoca venissero allevati cani malati. L’albino, infatti, è senza dubbio un soggetto malato e l’idea che un cane malato fosse finito al Presidente degli Stati Uniti è improponibile. Del resto, nella pubblicità di un collie bianco pubblicata su un giornale del 1916 leggiamo: “Free from Albinoism”. Il che ci induce a pensare che il problema fosse all’epoca già ben conosciuto.

Continuando ad azzardare ipotesi sbirciando su quella immaginaria tavolozza di Mr. Christy, possiamo ancora ipotizzare che Rob Roy fosse un collie doppio merle. In questo caso il doppio gene merle avrebbe provocato la “diluizione” del colore del manto facendolo diventare bianco.

Ma i doppi merle sono spesso sordi e/o ciechi, o hanno comunque difetti visivi e/o uditivi e talvolta presentano anche tracce di colore sul manto. Se gli allevatori avessero voluto selezionare solo i pochissimi che nascono sani, ci sarebbero stati ben pochi collie bianchi in giro. D’altra parte non è ipotizzabile che addirittura due Presidenti degli Stati Uniti avessero avuto in regalo cani con tali, gravissimi difetti di salute. Ricordiamo che oggi l'accoppiamento tra due blu merle è vietato in molti paesi, compresa la Gran Bretagna, patria della razza, perché da esso si ha una elevata probabilità di ottenere cani ciechi e/o sordi.

Un’ulteriore, stiracchiata teoria, potrebbe farci immaginare che quel collie fosse un doppio merle ed allo stesso tempo un “white collie”. Il gene “white spotting” gli avrebbe fornito il tronco bianco, mentre il doppio gene merle gli avrebbe decolorato la testa. Purtroppo, anche in questo caso quel cane sarebbe stato probabilmente malato, sempre per effetto della presenza del doppio gene merle. Per gli stessi motivi esposti sopra, dunque, siamo costretti a scartare anche questa ipotesi.

Ma noi ci stiamo limitando a prendere in considerazione solo i colori che il nostro pittore sicuramente aveva sulla sua tavolozza, ossia stiamo formulando delle ipotesi basandoci solamente sui i geni di cui è certa oggi la presenza nel collie. Eppure, non possiamo escludere che ci fossero all’epoca altri geni responsabili di quel manto bianco, geni che oggi non conosciamo. E’ possibile, cioè, che quel pittore avesse a disposizione sulla sua tavolozza colori che noi oggi non abbiamo o che non sono più sulle nostre tavolozze. In questo caso, il pittore avrebbe immortalato un collie bianco in cui la colorazione della testa era regolata da un altro gene, un gene oggi non più presente nel patrimonio ereditario del collie, ossia stiamo facendo l’ipotesi che egli avesse avuto a disposizione colori che i pittori di oggi non posseggono più.

Sappiamo che nel cane il mantello bianco può essere dovuto a singoli geni come white spotting, merle, white, albino, o alla loro combinazione. Abbiamo già detto del white spotting, del merle e dell’albino. Il gene white, scoperto da Robinson nel 1990, provoca un mantello completamente bianco con occhi e tartufo scuri, come nel pastore svizzero bianco, ma non abbiamo alcuna prova della sua presenza nel collie, per cui dobbiamo per forza ricorrere agli alleli della serie “spotting” per spiegare le varie estensioni del bianco nei collie di questa varietà. Robinson, nel 1990, ne elencò quattro, ma secondo la Prof.ssa Sue Ann Bowling (Alaska's Geophysical Institute) potrebbe esisterne un quinto che influenza le marcature del capo. E’ solo un’ipotesi, unita al fatto che questi alleli sono molto influenzati dalla presenza di geni modificatori, eppure l’ipotesi di una sua esistenza spiegherebbe in maniera geneticamente corretta il fatto che questi cani completamente bianchi non fossero poi cosi rari nei due secoli scorsi.

Infatti, al di là dei collie che temporaneamente hanno vissuto alla Casa Bianca o di qualche rappresentazione pittorica, immagini di collie completamente bianchi non mancano.

Qui sotto vediamo un’immagine del 1914 di Pilot Snowball, allevato da Mr. Hamilton (Pilot Snowball collies) e di proprietà di Mrs. J. B. Austin.

Qui di seguito, invece, un bellissimo cucciolo di nome Nu-Sigma-Nu di proprietà di Mrs. Helen Bakewell.

 

 

Nel 1909 sulla rivista Country Life in America appariva una pubblicità in cui venivano mostrati due cuccioli di collie con la testa bianca. La foto non è chiarissima, ma la didascalia parla di “Pure White Collie Dogs” dell’allevamento Bierbrier di Allendale. Forse l’aggettivo “pure” si riferiva alla parola “dogs” piuttosto che essere un attributo della parola “white”, ma la foto rappresenta comunque un altro tassello da inserire nel nostro puzzle.

L’ipotesi di un gene (o allele) presente originariamente nella nostra razza e perduto per la frenesia che ad un certo punto prese la maggior parte degli allevatori e li indusse ad eliminare tutti i collie dal mantello candido, addossandone la responsabilità ai pastori, dovrebbe farci riflettere e comprendere quanto sia importante la conservazione della variabilità genetica di una popolazione di cani. Tutte le varietà presenti, anche se inspiegabilmente non ammesse da alcuni standard, dovrebbero essere tutelate per evitare che restino solo un ricordo da ammirare in un quadro.

A volte, però, le soluzioni dei problemi sono più semplici di quanto supponiamo, così, se andiamo a sbirciare le parole dette e non dette, o solo sussurrate, o tramandate tra le righe di vecchi libri e magari da qualche pettegolezzo di cui è rimasta memoria, ne viene fuori un quadro molto più semplice.

Nel suo libro del 1924, THE COLLIE IN AMERICA, Edwin L. Pickhardt (Sterling) afferma senza mezzi termini che il mantello tutto bianco del collie fu il risultato di un incrocio del collie con un cane di colore bianco, con ogni probabilità un Samoyedo. E rincara la dose George D. Dodd (kollorca), allevatore e giudice molto stimato, che nel CCA Yearbook del 1933 avanza il sospetto che fossero stati usati Samoyedo o Borzoi per ottenere il desiderato mantello tutto bianco.

Su un altro CCA YEARBOOK, quello del 1950, troviamo un articolo di James McGlynn (Collalba), uno dei padri del collie bianco americano, che afferma che alcuni allevatori incrociarono il collie con il Samoiedo per rispondere alle richieste del mercato ed ottenere mantelli completamente bianchi.

Ma è in un’intervista rilasciata a Collie Cues e pubblicata nell’agosto del 1971 che troviamo la rivelazione che dovrebbe farci abbandonare l’ipotesi genetica. In questa intervista la signora Molly Radford Ward, figlia di Steven Radford, racconta che suo padre aveva cominciato a selezionare collie bianchi integrali fin dal 1900, ma che molto spesso essi presentavano problemi di sordità. La signora Ward rivela pure che dal 1915 i collie bianchi del padre vinsero molte esposizioni, ma rispetto ai collie di altri colori presentavano la fronte più ampia ed la canna nasale più corta.

La rivelazione fatta dalla signora Ward dovrebbe indurci ad abbandonare definitivamente l’ipotesi del gene perduto.

Ricapitolando, possiamo supporre che le cose siano andate pressappoco in questo modo. L’enorme successo avuto nella prima metà del XX secolo dai collie bianchi, cui contribuirono non poco i collie bianchi del Presidente Coolidge, fece incrementare le richieste di questa varietà e, come ebbe a dire James McGlynn, "Avendo gli americani una mentalità più avanzata di quella dei britannici, decisero di soddisfare le richieste” in ogni modo possibile. La difficoltà di ottenere collie completamente bianchi, ma sani, spinse probabilmente alcuni allevatori a prendere una scorciatoia usando un’altra razza per allargare il bianco del collie.

Ma anche questa è un’ipotesi, in fondo, e l’idea di un gene (o più semplicemente di un ulteriore allele della serie “spotting”) che regolava il colore della testa, perduto, ma forse non completamente sparito, e magari nascosto ben bene in chissà quale linea di sangue in attesa di riapparire per sbalordirci, è sicuramente più affascinante. E’ l’ipotesi che più si addice ai bianchi posseduti dalla Regina Vittoria. Molti geni, non solo del collie, sono infatti scomparsi per la stupidità dell’uomo che tende ad opporsi a tutto ciò che non comprende. Ma il tempo non è un problema per la natura, essa sa aspettare, e prima o poi riesce a prendersi le sue rivincite!